Il punto principale del mio lavoro, in termini di scrittura,
è mettere in questione le connessioni
(Laurie Anderson)[1]
Nell’ottobre del 1989 Laurie Anderson, la poliedrica artista americana che «dagli anni Settanta è una delle maggiori protagoniste dell’avanguardia newyorkese»[2], dava alle stampe il suo terzo album in studio, Strange Angels. Erano passati otto anni dal successo del singolo O Superman (for Massenet), che –piuttosto inaspettatamente, dato il carattere tutt’altro che commerciale della canzone (che nasceva, in realtà, come una video-opera)– aveva trasformato una “performance artist” di nicchia in una cantante da classifica.

Rispetto al suo primo album in studio, il bellissimo Big Science (1982), in cui era confluita una parte del più ampio progetto United States I-IV[3], il disco dell’89 offriva maggiori concessioni al cantato e alla melodia, nella direzione di un pop concettuale in cui convivono percussioni etniche e programmazione elettronica. E, come sempre nei dischi della Anderson, i testi si muovono tra citazioni letterarie (Moby Dick, La canzone di Hiawatha –poema dell’americano Henry Wadsworth Longfellow del 1855–, L’arcobaleno della gravità di Thomas Pynchon[4]), «resoconti più o meno surreali in prima persona, con dialoghi riportati in discorso diretto»[5] e collage di materiali ricavati dai linguaggi della società dei consumi (come jingle pubblicitari, canzoni rock o show televisivi[6]) [7].
In questo contributo ci si concentrerà sulla terzultima traccia dell’album, The Dream Before (for Walter Benjamin): si tratta di un brano dall’arrangiamento minimale, nel quale l’unico strumento sono le tastiere suonate da Laurie Anderson, la cui voce viene doppiata, nella seconda parte, da quella Bobby McFerrin[8]. Il brano è organizzato in due strofe: se nella prima compaiono i protagonisti della celebre fiaba di Hansel e Gretel, ormai diventati adulti e disillusi, la seconda strofa consiste nel celebre frammento n°9 delle Tesi di filosofia della storia del critico e filosofo berlinese Walter Benjamin (1892-1940), a cui la canzone è dedicata[9]. Benché le due sezioni del brano parrebbero a prima vista piuttosto irrelate, è invece possibile individuare alcuni fili a partire dai quali stabilire delle connessioni interessanti in grado di aggiungere significati ulteriori all’intera composizione.